Intervento di Francesco Comellini al Convegno Nazionale Sordi – Roma 25.10.2023

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Con la legge 68/1999 è stato introdotto nel nostro ordinamento, almeno teoricamente, il nuovo istituto del collocamento mirato all’interno delle percentuali di assunzione obbligatoria, delle persone con disabilità fisiche, psichiche o sensoriali o con “handicap intellettivo”, in base alla loro formazione pregressa, alle loro capacità acquisite e tenendo conto delle potenzialità di crescita professionale. 

Tuttavia, non è priorità di questo intervento ricordare lo sviluppo, tra ombre e luci, dei risultati raggiunti, dal collocamento mirato che, partendo dall’entrata in vigore della legge 68/99 ha visto il legislatore intervenire con successive modifiche al testo anche con il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151. 

Ci basta richiamare le ultime due relazioni Parlamento, quella del 12 gennaio 2021 per gli anni 2016-2018 e la più recente del 5 maggio 2023 che prende in esame la sola annualità 2019, redatte in ottemperanza dell’Articolo 21, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per dare uno sguardo ai numeri delle persone con disabilità che grazie alla Legge hanno trovato una occupazione e ai molti, troppi, che nonostante tutto restano in attesa di una chiamata che tarda ad arrivare. 

La prima Relazione per gli anni 2016-2018 – periodo questo di netta ripresa rispetto alla crisi economica mondiale verificatasi tra il 2007 e il 2013 ma, di pre-pandemia – evidenzia in sintesi come gli iscritti all’elenco del collocamento mirato sul territorio nazionale siano passati dalle circa 700mila unità del 2006 alle oltre 900mila del 2018, con un aumento costante nel triennio. 

Un numero questo enorme rispetto alle assunzioni effettive, sebbene l’andamento degli avviamenti degli iscritti nell’elenco del collocamento mirato sul versante della domanda del lavoro, sia pubblica che privata, nonché dell’intermediazione, mostri una tendenza positiva con punte di avviamenti di 35.594, 42.431 e 45.913 unità nel triennio 2016-2018, in ogni caso superiori al picco massimo di 31.611 avviamenti precedentemente toccato solo nel 2007. Le assunzioni per lo stesso triennio sono state nel complesso di 48.808, 57.136 e 62.048 unità, anche qui superiori al picco massimo raggiunto nel 2007 di 30.848 unità, ma, come detto, irrisorie rispetto al numero reale degli iscritti in attesa di una occupazione, che sfiora il milione di unità. 

Il periodo precedente, dal 2008 al 2014, mostra una flessione costante dei valori degli avviamenti e delle assunzioni per poi marcare una ripresa a partire dal 2015 e più nettamente dal 2016. 

Il rapporto rileva tuttavia che i dati devono considerarsi parziali, sebbene forniscano un quadro di valori significativi, in quanto non tutte le amministrazioni chiamate a comunicare i dati riguardanti le performance dei propri servizi, hanno dato risposta. 

Da segnalare che il rapporto per gli anni 2016-1018 fornisce poi una interessante distinzione dei dati non solo per categorie professionali degli avviamenti ma anche per condizione di invalidità e genere tra comparto pubblico, privato obbligato e privato non obbligato dal quale emerge come, la parte maggioritaria degli avviamenti, sia in capo alle aziende private obbligate, con ad esempio, per il solo 2018, 37.715 avviamenti per queste ultime e solo 1.444 per il comparto pubblico. In questo scenario sembrano distinguersi le imprese private non obbligate con ben 2061 avviamenti nel 2018, segno comunque di una certa attenzione ai processi virtuosi di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e più in generale di solidarietà sociale, o almeno vogliamo crederlo. 

Una ulteriore lettura del complesso sistema dell’occupazione obbligatoria delle persone con disabilità, basata sui dati economici, è fornita dalla Delibera n. 9 del 2022 della Corte dei conti – Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato – attraverso l’accurata analisi del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili che nel fornire una valutazione estremamente puntuale della gestione, ci dice, ad esempio, che le assunzioni di lavoratori con disabilità per i quali è stato riconosciuto l’incentivo di cui all’art. 13 della l. n. 68/1999 sono state rispettivamente 3.089 nel 2016, 2.999 nel 2017 e 1.042 nel 2018 con una media di 1,14 addetti con disabilità assunti per datore di lavoro richiedente nel 2016, 1,10 nel 2017 e 1,07 nel 2018. 

Passando infine al X Rapporto che analizza l’anno 2019, questo sottolinea che Il numero complessivo di datori pubblici e privati nell’anno in esame, raggiunge i 110.060 dichiaranti, ripartiti per il 95,3% tra le imprese private ed il restante 4,7% tra le organizzazioni pubbliche. In totale, i lavoratori in forza a tali aziende ed enti ammontano a quasi 11 milioni di dipendenti. Il volume totale di posti scoperti dedicati alle persone con disabilità è pari a 148.229 unità, a fronte di oltre 366 mila lavoratori con disabilità già alle dipendenze nell’annualità di riferimento. La quota di riserva riconducibile alle imprese private è di oltre 400 mila posti di lavoro, mentre gli enti pubblici dichiarano più di 115 mila posizioni riservate alle persone con disabilità. 

I dati della X Relazione mettono poi in evidenza come sul fronte della disponibilità di quote non coperte le aziende dell’industria, registrano oltre 172 mila posti potenziali per lavoratori con disabilità (33% del totale nazionale) e una disponibilità pari a 51.452 posizioni; a seguire si propone la macrocategoria che comprende Pubblica Amministrazione, Istruzione e Sanità, con una quota di riserva di oltre 126 mila posti (25% del totale) e una scopertura del 30%. Interessante anche la distribuzione geografica della quota di riserva italiana indica che la Lombardia, con 49 mila datori di lavoro dichiaranti e circa 120 mila posti dedicati ai lavoratori con disabilità, costituisce da sola un bacino occupazionale più ampio del Mezzogiorno e delle Isole, con 94 mila posti, ma anche della quota totale di 108 mila posti del Centro Italia. Gli iscritti a livello nazionale in tali elenchi di collocamento di cui alla 68/99, dichiarati dai servizi competenti alla data del 31 dicembre 2019, raggiungono il totale di 847.708 individui, dei quali il 45,6% è costituito da donne. Per quanto riguarda le persone sorde il numero complessivo registrato nell’ultimo anno in esame, il 2019, si attesta ad un totale di 7.808 unità, in costante crescita rispetto al periodo 2016-2018, di cui 3.950 donne. Nel 2019, i servizi competenti hanno fornito informazioni sugli avviamenti al lavoro presso datori di lavoro pubblici e privati comunicando un totale nazionale di 44.318 procedure registrate mentre le assunzioni sono state 58.131. Numeri questi in crescita rispetto al 2016-2018 ma comunque insufficienti a soddisfare il bisogno occupazionale degli iscritti alle liste e coprire così quella quota importante di posti effettivamente ancora disponibili. 

Infatti, lo stato occupazionale dichiarato dalla platea di riferimento, quegli 847.708 individui iscritti alle liste, è la disoccupazione per oltre la metà di essi, con titoli di studio che non superano la licenza media in quasi il 60% dei casi, seppure si registra un incremento di titoli di Laurea e Diploma universitario/Laurea I Livello. Qui apro una piccola parentesi poiché secondo gli ultimi dati disponibili, desumibili dalle rilevazioni effettuate a partire dal 2019 dall’Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca e dal Ministero dell’Università e della Ricerca, in materia di studenti con disabilità e DSA, nell’anno accademico 21-22 sono oltre 54mila gli studenti iscritti alle Università italiane con disabilità o limitazioni funzionali, un numero che comunque è in costante crescita rispetto alla prima rilevazione effettuata dall’Anvur che individuava circa 36mila studenti con disabilità o DSA, frutto questo anche delle azioni di inclusione intraprese nell’ambito del potenziamento delle politiche per il diritto allo studio. 

Tornando infine alla 68/99, le iscrizioni nel corso dell’anno 2019 sono state 94.176, delle quali il 43% donne. Gli invalidi civili rappresentano il 92% delle iscrizioni. 

Da segnalare inoltre che nel 2019 dalle liste sono state cancellate, sempre secondo la Relazione esaminata, oltre 68 mila posizioni, prevalentemente motivate dal raggiungimento dell’età pensionabile e dal trasferimento ad altro territorio. 

In questo scenario, di sbilanciamento tra domanda (iscritti alle liste) e offerta di posti di lavoro in quota obbligatoria, occorre dare atto della, seppur tardiva ma positiva pubblicazione l’11 marzo 2022, delle linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità, previste dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, che come scritto nel documento rappresentano, tuttavia meri “strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale” e che “pur non sostituendosi alle legislazioni regionali che hanno regolamentato l’applicazione del collocamento mirato sui territori, intendono offrire un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, interventi e metodologie di attuazione”. 

Nel 2022, per favorire il processo di inclusione occupazionale delle persone con disabilità, è stato approvato il D.lgs. 30 giugno 2022, n. 105, in attuazione della direttiva europea (UE) 2019/1158 recante disposizioni per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare. Il D.lgs., che novella la legge 22 maggio 2017, n. 81, tra l’altro riconosce come i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano con i dipendenti accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile, debbano dare priorità alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Un passo importante che, anche alla luce delle esperienze positive di lavoro agile nelle aziende private e nella PA, ha favorito e favorisce una nuova concezione del lavoro che, grazie alle tecnologie abbatte le distanze e le barriere, non solo fisiche, ma anche culturali. 

Una nota di attenzione va poi rivolta alla Legge 7 agosto 2015 n. 124 che ha disposto deleghe al Governo per la riforma della pubblica amministrazione. In ordine al collocamento mirato, conseguentemente, l’art. 10 del D.lgs. 25 maggio 2017, n. 75, ha modificato il D.lgs. n. 165 del 2001 introducendo gli artt. 39-bis, 39-ter, 39-quater che prevedono per il collocamento delle persone con disabilità nella Pubblica Amministrazione un nutrito apparato di norme tra cui l’istituzione della Consulta Nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità, presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, Consulta questa che, tuttavia, istituita con DM 6 febbraio 2018 dall’allora Ministro Madia per la nomina dei suoi componenti, non sembra più essere stata rinnovata, eppure il suo lavoro potrebbe essere di estrema importanza non solo nello sviluppo delle politiche pubbliche e delle misure per l’integrazione delle persone con disabilità ma anche per il monitoraggio delle procedure di accesso per concorso al pubblico impiego. 

Per quanto riguarda i numeri precedentemente illustrati con riferimento allo stato di attuazione della legge 68/99, spesso leggiamo sui media articoli che intervenendo sul collocamento obbligatorio, pongono in evidenza il tema delle sanzioni dovute dalle Aziende private per l’inottemperanza degli obblighi della legge citata. Anche se il tema delle sanzioni, che è ben più complesso ed articolato, andrebbe esaminato con la dovuta attenzione, tenendo ben presente la differenza tra sanzioni e somme corrisposte dalle imprese al fine di essere esonerate in parte dagli obblighi di legge, sulla base di rigidi requisiti e valutazioni degli Enti preposti. 

Alla luce di questa premessa, tuttavia, credo che il futuro dell’accesso al mondo del lavoro per le persone con disabilità non possa essere considerato come una questione che resta appesa ad una sanzione, ma vada sostenuto con ogni mezzo. Anche con adeguati piani di incremento delle facoltà assunzionali straordinarie nella pubblica amministrazione a valere sulle liste di cui alla 68/99, obiettivo questo di ricondurre le liste di attesa a tempi ragionevoli che non mi sembra sia stato perseguito dagli ultimi governi che si sono succeduti alla guida del Paese. 

Il tema delle difficoltà per l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità o, meglio, delle “sanzioni” che le aziende pagano per l’inottemperanza alle norme di legge, o delle somme per l’esonero parziale che poi vengono versate nel fondo per l’occupazione, è noto da tempo. 

Tuttavia ad oggi mi sembra vi sia ancora una certa difficoltà a fornire soluzioni uniformi sul territorio nazionale e capaci di produrre risultati immediati e concreti, anche da parte dei diretti interessati che pure dovrebbero puntare ad ottenere sin dall’iscrizione agli elenchi della 68/99, e nelle more dell’agognata chiamata di avviamento al lavoro, almeno l’iscrizione obbligatoria a programmi di orientamento al lavoro e di formazione continua che li qualifichino o riqualifichino, ponendoli su di un piano di parità sostanziale nell’accesso alle opportunità lavorative rispetto alle persone senza disabilità e che, contestualmente, tengano in debita considerazione i bisogni delle imprese, sotto ogni profilo. 

Questo nonostante vi siano esperienze di inserimento lavorativo delle persone con disabilità che rappresentano casi virtuosi posti in essere grazie anche alle misure di incentivazione attivabili proprio attraverso i fondi nazionali e regionali alimentati dallo Stato, dalle sanzioni e dalle somme versate dalle imprese in esonero parziale. 

Nella passata legislatura si è parlato del tema delle somme che le imprese pagano per non ottemperare agli obblighi del collocamento delle persone con disabilità di cui alla legge 68/1999, pensando di aumentare l’ammontare delle stesse rispetto a quanto già fatto dal D.lgs. 151/2015 (numerose furono le proposte emendative depositate dalle forze politiche) ma poi, le probabili, ma forse visti gli effetti quasi certe, pressioni di certo mondo delle imprese, hanno ricondotto a mere parole l’azione politica che era volta, ed in principio determinata, a favorire un cambiamento importante ma che evidentemente non poteva essere solo basato sull’inasprimento delle sanzioni o delle somme da versare per gli esoneri. Occorreva ed occorre guardare oltre. 

Lo spirito che ci deve muovere non è il dividere il mondo delle imprese in buone e cattive, si tratta invece di comprenderne, e far comprendere come in parte sembra si stia cercando di fare, non solo le dimensioni della singola impresa dalle quali discende l’obbligo di legge ma le sue peculiari dinamiche e le sue attività produttive nel contesto anche territoriale nelle quali queste si sviluppano, per ricercare, favorire e sostenere, spazi di occupabilità accessibile, nonché l’auspicato cambiamento, prioritariamente culturale, di quel fare e saper fare impresa e, contestualmente, inclusione e sostegno sociale che è caratteristica della gran parte del nostro tessuto produttivo ed imprenditoriale. Al riguardo tra i molti studi in materia, interessante mi è parsa la lettura del paper del 2021, che anche se un po’ datato vale la pena di essere ricordato, realizzato dall’Università Cattolica sulla Legge 68/99 sulla base delle esperienze delle imprese di Assolombarda e dei suoi stakeholder di riferimento, nel quale si effettua una analisi dello stato dell’arte e si formulano proposte di miglioramento, partendo prioritariamente da una semplificazione degli adempimenti per porsi in linea con quanto previsto negli altri paesi europei. 

(https://www.assolombarda.it/servizi/lavoro-e-previdenza/documenti/ricerca-6-2021-la-legge-68-99-nell2019esperienza-delle-imprese-di-assolombarda-e-degli-stakeholder-analisi-e-proposte-di-miglioramento

Ma le criticità della legge 68/99, e per un certo verso il suo “senso di fallimento” anche a prescindere dalle buone intenzioni della norma che a mio avviso parte da presupposti positivi ma che necessita, indubbiamente, di una profonda revisione anche alla luce dei cambiamenti nel mondo del lavoro che sono in atto tra i quali il peso sempre maggiore del lavoro da remoto e in modalità agile, è un dato di fatto certificato non tanto dal numero di iscritti alle liste, ma dal fatto che vi siano persone iscritte negli elenchi che attendono da decenni una chiamata al lavoro, che non arriva. Chi restituirà a queste persone con disabilità ma in grado di lavorare, gli anni di attesa persi e quella dignità sociale e di realizzazione di vita che solo il lavoro ci consente? 

Un “senso di fallimento”, quello della 68/99, percepito con sofferenza dalle persone con disabilità e dai loro familiari e ancor di più da coloro che pur essendo in condizione di disabilità decidono di intraprendere, non senza difficoltà, percorsi universitari e dell’alta formazione ma che poi faticano a collocarsi utilmente nel mondo del lavoro. 

Una situazione, quella dell’ingresso nel mondo del lavoro delle persone con disabilità, che non può che smuovere la coscienza di chi ha l’autorità di realizzare il cambiamento tanto atteso. 

Nel frattempo, almeno per il pubblico impiego, personalmente ho avvertito con forza l’esigenza di tamponare gli squilibri del sistema di ingresso nel mondo del lavoro, e con il prezioso aiuto di alcuni amici Senatori che firmarono e sostennero la modifica legislativa che gli era stata proposta, abbiamo introdotto un piccolo mattone per la costruzione del tempio dei diritti delle persone con disabilità: la valutazione delle “abilità residue” delle persone con disabilità nelle procedure dei concorsi pubblici per l’assunzione di personale non dirigenziale, contenuta nella legge 29 giugno 2022, n. 79, di conversione del Decreto-Legge 30 aprile 2022, n. 36, dove all’art.3, si modifica l’art. 35-quater in materia di procedimento per l’assunzione del personale non dirigenziale, del D.lgs. 165/2001. 

L’inserimento della valutazione delle abilità residue nelle procedure concorsuali rappresenta oggi un’opportunità, mai verificatasi prima nel nostro Paese per quantità e qualità di posti di lavoro messi a concorso, anche per le persone con disabilità che, in carenza dei posti di riserva o comunque a prescindere da questi, volessero concorrere per un posto nel pubblico impiego in pari condizioni e in pari opportunità con i c.d. normodotati, possono finalmente farlo. Ma ci sta un “ma” grande come un palazzo, che rischia di crollare minando l’effettiva concretizzazione di questa eccezionale opportunità di inclusione. 

Della concreta attuazione della norma sulle abilità residue, inserita nel 165/2001, che a mio avviso può rappresentare la chiave di volta, se non per il superamento della legge 68/99 nel pubblico impiego e ciò anche in ragione del sempre maggiore livello di istruzione superiore che si registra nelle iscrizioni alle liste di collocamento da parte delle persone con disabilità aventi diritto, certamente rappresenta un una ulteriore concreta possibilità di realizzare un modello occupazionale inclusivo, secondo quanto risulta da un’analisi effettuata con l’Osservatorio per le disabilità, Inclusion Hub – OS.PER.DI, sui testi di un centinaio di bandi di concorso per l’assunzione di personale nelle Pubbliche Amministrazioni, pubblicati dal 1 luglio 2022 sul portale www.inpa.gov.it, non sembra essercene traccia. 

Ve ne fornisco alcuni dettagli con la speranza di sollecitare la curiosità degli addetti ai lavori e soprattutto di quelle associazioni che operano in favore della tutela e contro le discriminazioni ai danni delle persone con disabilità. 

Ci siamo domandati: i bandi di concorso nel pubblico impiego, pubblicati dal mese di luglio in poi, sono tutti conformi alla normativa vigente recentemente adeguata, per favorire l’accesso delle persone con disabilità e DSA? 

Noi crediamo di no. 

Ad esempio, tra i bandi analizzati e pubblicati, si rileva come questi non rispettino la previsione della legge vigente, introdotta dal disposto del Dl 36 convertito con legge 79/22, con l’art. 3 comma 1, capoverso 35-quater, lettera a), d), e comma 2. Prevede infatti la legge 79 all’articolo 3, capoverso “art. 35-quater” , lettera a): “(…) Le prove di esame sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per i profili che svolgono tali compiti, che devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell’impiego, ovvero delle abilità residue nel caso dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. (…)”. 

Ma in questi bandi, come in altri esaminati, nulla si specifica in merito alla definizione in maniera coerente alla natura dell’impiego delle abilità residue possedute dai soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. 

Inoltre, prevede la legge 79 all’articolo 3, capoverso “art. 35-quater”, lettera d) “(..) siano valutate le esperienze lavorative pregresse e pertinenti, anche presso la stessa amministrazione, ovvero le abilità residue nel caso dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. Le già menzionate amministrazioni possono prevedere che nella predisposizione delle prove le commissioni siano integrate da esperti in valutazione delle competenze e selezione del personale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. 

Ma spesso i bandi esaminati hanno tutti lo stesso schema, addirittura sono composti dai medesimi articoli che recano poche differenze. Uno dei bandi esaminati all’articolo 5 ad esempio recita “(..) Laddove si renda necessario, alla commissione esaminatrice possono essere aggregati membri aggiunti per la valutazione della conoscenza delle lingue straniere e delle competenze informatiche”, si parla quindi solo di lingue straniere e competenze informatiche (elemento questo per lo più comune a tutti i bandi esaminati) ma nulla si prevede in merito alla previsione di esperti per la valutazione delle abilità residue. Vi invito ad esaminare gli ultimi bandi pubblicati nel mese di settembre 2023. Non troverete traccia di quella necessaria azione di valutazione della persona, in questo caso delle sue abilità residue, per essere collocata utilmente nella posizione lavorativa più idonea. Eppure il collocamento lavorativo nella posizione più idonea è desumibile del dettato dell’articolo 38 della Costituzione che, a mio avviso, postula anche il richiamo ai livelli essenziali delle prestazioni che la Repubblica ha il dovere di garantire ad ogni Cittadino sotteso con quel “ Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” che recita il terzo comma dell’articolo citato, e l’avviamento professionale comporta una valutazione non solo delle capacità residue della persona ma, grazie alla novella recata al 165/2001 anche delle abilità residue in ragione del concretizzarsi di ogni possibile condizione di parità tra cittadini. 

Per i sordi, visto che oggi siamo ospiti dell’Ente Nazionale Sordi, una delle associazioni storiche di tutela delle persone con disabilità istituita con Legge, mi viene in mente che questi potrebbero, ad esempio, essere bene utilizzati per le attività dei corpi di polizia investigativa nelle operazioni di lotta alla criminalità, là dove le intercettazioni ambientali audio possono non dare esito, certamente l’”abilità residua” o meglio l’abilità naturale che potrebbe loro di effettuare una attenta lettura labiale anche a distanza o della ripresa video. I sordi hanno o, meglio, avrebbero, tutto il diritto di partecipare ai concorsi pubblici per le forze dell’ordine. Ciò è ad oggi possibile? 

Infine, prevede sempre la legge 79, all’articolo 3, capoverso” art. 35-quater”, comma 2, l’espletamento delle prove concorsuali deve avvenire “nel rispetto dell’eventuale adozione di misure compensative per lo svolgimento delle prove da parte dei candidati con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o con disturbi specifici di apprendimento accertati ai sensi della legge 8 ottobre 2010, n.170”. In particolare sui disturbi specifici dell’apprendimento si apre un altro scenario che richiederebbe di per sé un convegno ad hoc, se le DSA vengono poste in relazione alla normativa citata, anche perché ritengo si dovrà guardare a tali soggetti con molta attenzione visto che si registra un progressivo e costante aumento, soprattutto nelle istituzioni scolastiche e della formazione superiore, del numero di studenti che viene certificato DSA o scopre di esserlo, cosa questa che non potrà non avere ricadute sui processi di selezione del personale, e non solo. 

In termini generali, il contemperamento tra l’esigenza di garantire la partecipazione della persona con disabilità a qualsivoglia procedura concorsuale, in condizione di parità con gli altri concorrenti, trova oggi giustificazione in uno dei principi alla base della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che ha fissato in via generale l’obbligo dell’“accomodamento ragionevole”, applicabile anche alle forme di organizzazione delle procedure selettive, che vanno adeguate alle esigenze ragionevoli manifestate dalla persona con disabilità. 

Questa minima analisi evidenzia come molti dei bandi di concorso esaminati recano profili di forte criticità che, forse, non sono stati attentamente ponderati dagli estensori ma che, incidendo sulla procedura stessa del concorso anche in relazione alla fase della domanda, se non a partire dalla conoscibilità stessa del bando che in moltissimi casi si è rivelato un documento non accessibile secondo gli standard minimi definiti dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), rappresentano elementi di vizi insanabili (a meno di un ravvedimento se possibile da parte della PA che ha emesso il bando mediante una sua correzione formale e, quindi, di una successiva riapertura dei termini), forieri possibili ricorsi e lunghi contenziosi, promossi non solo in presenza di un interesse legittimo e diretto ma anche da parte di una platea più ampia di candidati. Infatti potrebbe verificarsi il caso di persone con disabilità che avendo rinunciato alla partecipazione, ad esempio a causa di una palese mancanza di chiarezza delle procedure di valutazione delle abilità residue, o a causa di una non coerenza alla normativa vigente del bando in materia di disabilità e DSA, a ben vedere potrebbero avere tutto il diritto di rivendicare di essere posti nelle condizioni di conoscere per decidere autonomamente se concorrere, purché vi siano condizioni di assoluta parità di opportunità. 

Appare chiaro come le pubbliche amministrazioni in generale e non solo gli uffici del personale o preposti alla redazione dei bandi concorsuali, ma forse prioritariamente questi, debbano dotarsi delle competenze atte a garantire i diritti delle persone con disabilità e/o DSA, siano essi di matrice costituzionale che derivanti dall’attuazione di atti internazionali ratificati dal Parlamento e dunque aventi carattere obbligatorio (rango sub costituzionale) come lo è la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, la quale, in particolare, all’art. 27 prevede obblighi precisi per gli stati parte in materia di occupazione e accesso al mondo del lavoro e non da meno di progressione nelle carriere. 

Quanto al precedente paragrafo, soprattutto in tema di formazione, è bene che ciò avvenga con sollecitudine visto il recente schema di decreto legislativo in attuazione di uno dei punti della Legge 227/2021 di delega sulle disabilità, che ha ottenuto il parere favorevole delle Commissioni Parlamentari nonostante le numerose lacune del testo e le possibili criticità attuative dello stesso per assicurare la piena accessibilità fisica e digitale nelle pubbliche amministrazioni e che in particolare interviene sulla figura del responsabile del processo di inserimento lavorativo di cui all’art. 39-ter del D.lgs. 165/2001, figura questa che dovrà ora essere prevista in tutte le pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti (prima era sopra le 200 unità) che può anche coincidere con quella del dirigente responsabile accessibilità fisica e digitale di nuova istituzione, ma che certamente dovrà essere adeguatamente formata e possedere la necessaria esperienza anche per comprendere la complessa normativa di riferimento del mondo delle disabilità e davi specifica e puntuale attuazione, non solo nei confronti dei lavoratori ma di tutti i fruitori dei servizi resi dalle oltre 9700 pubbliche amministrazioni ed Enti locali chiamati ad adempiere alle previsioni del decreto legislativo sopra citato che, purtroppo, è privo di apposito capitolo di spesa essendo prevista la clausola di invarianza per il bilancio pubblico. 

Personalmente ritengo che l’esigibilità di un diritto, soprattutto da parte del cittadino o del lavoratore con disabilità, abbia un costo per lo Stato e che nulla può essere fatto senza risorse economiche. 

Garantire la piena accessibilità fisica e digitale potrebbe essere un problema, se non di volontà e sensibilità delle Amministrazioni pubbliche che negli ultimi anni è sensibilmente aumentata, sicuramente lo potrebbe essere per indisponibilità delle necessarie risorse economiche per gli investimenti materiali e immateriali che dovessero rendersi necessari se non indispensabili. Mi attendo, spero, quindi di essere smentito perché, a mio avviso, un qualsiasi cittadino, che si reca presso un Ente pubblico, un Comune, un Ministero o necessita di una qualsiasi pratica amministrativa, potrebbe pretendere che l’impiegato pubblico si esprima nei suoi confronti in modo che questi lo possa comprendere e che gli produca atti per lui accessibili (mi riferisco all’uso della Lis, gestuale o tattile per i sordi o altri codici di comunicazione) cosa questa che presupporrebbe non solo che ogni ufficio pubblico sia dotato di adeguati strumenti tecnologici ma che tutto il personale ad esso adibito sia correttamente formato per dialogare con le persone con disabilità sensoriale e che, più in generale, comprenda e attui un modello di lavoro e procedure accessibili e inclusive. Lo stesso deve valere chiaramente per il dipendente con disabilità, quale essa sia, affinché il datore di lavoro predisponga ogni necessaria misura per garantire non solo l’inclusione lavorativa di tipo tecnologico e ambientale ma anche di tipo relazionale e culturale rispetto al resto della forza lavoro che deve poter essere adeguatamente preparata e informata sul cambiamento. 

Non meno importante, emerge di tutta evidenza come la strada dell’affermazione dei diritti – anche al lavoro – delle persone con disabilità e anche di quelle con DSA, sia ancora molto lunga da percorrere ed in salita, per rimuovere ogni barriera, anche culturale, che possa limitare anche solo in parte le pari condizioni e le pari opportunità di partecipazione alla vita sociale, culturale, economica e produttiva del paese. 

In ultimo mi sia consentita una nota che ritengo sempre necessaria: La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha rivoluzionato il concetto di handicap cambiando la definizione in “condizione” della persona rispetto all’ambiente che la circonda. 

Ecco sarebbe opportuno che anche nella redazione degli atti pubblici, come, lo sono ad esempio i bandi di concorso, ci si adegui a tale uniformità di linguaggio affinché sia rispettosa della persona umana, ricordando che non esistono portatori di handicap ma persone con disabilità, non esistono diversamente abili ma persone con disabilità, non esistono persone affette da disabilità ma persone con disabilità, concetto questo che pone sempre al centro la Persona, essere umano, con la sua individualità unica e irripetibile, così come lo sono le abilità residue che questi sviluppa a compensazione delle proprie limitazioni funzionali e i valori essa rappresenta e che vanno considerati un valore per la società, non un costo

Francesco Alberto Comellini

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