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Onorevoli Senatrici e Senatori,
L’Osservatorio Permanente sulla Disabilità che mi onoro di rappresentare Vi ringrazia della possibilità di fornire un contributo per l’esame del provvedimento in parola.
Appare apprezzabilissimo lo sforzo redazionale compiuto per la stesura del presente schema di decreto, dalla Autorevole Commissione nominata con decreto del 22/2/2022 del Ministro per le Disabilità, in quanto questo appare teso a dare impulso alla piena attuazione dei diritti delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione ONU ratificata dall’Italia con legge 18/2009.
Tuttavia, a mio avviso, lo schema di decreto potrebbe scontare alcune criticità che emergono – in prima battuta – anche dalla Analisi Tecnico Normativa (All. A, Dir. DPCM 10/9/2008).
Occorre infatti rilevare che, se appare definita la platea delle PA di cui all’art. 1, comma 2 del dlgs 165/01 e dei Concessionari obbligati all’osservanza delle norme recate dallo schema in parola, per oltre 9.700 Enti (fonte Conto annuale 2020) – ATN pag. 4 – non appare altresì sufficientemente chiaro il quadro della popolazione di riferimento in termini numerici, e non statistici che sono sommariamente indicati per le persone con disabilità in circa 3.8 milioni nella documentazione a corredo dell’atto, secondo fonti ISTAT. La corretta individuazione della platea degli interessati consentirebbe, infatti, anche una corretta individuazione dei costi, implicitamente traslati – a fronte della clausola di neutralità finanziaria dettata dall’art. 9 dello schema di decreto legislativo – direttamente sui bilanci degli Enti obbligati ad attuare le previsioni legislative. Infatti alla parte III dell’ATN, si dichiara che “Non son stati utilizzati dati e riferimenti statistici e non si ravvisa la necessità di commissionare elaborazioni statistiche”. Dunque sebbene sia un principio non derogabile quello della corretta quantificazione degli oneri di attuazione dei decreti legislativi ovvero della loro sospensione sino all’individuazione delle occorrenti risorse con Legge di Bilancio, le platee di riferimento del decreto, individuate nei cittadini lavoratori con disabilità (sarebbe opportuno definire con certificazione Artt. 3, c. 1 e 3 della L. 104/92 o con DSA ai sensi della Legge 170/2010) e nelle persone ultrasessantacinquenni, a cui mi sia consentito di aggiungere tutti quei lavoratori che a vario titolo provvedono alle necessità di assistenza dei congiunti con disabilità grave o non autosufficienti, per inciso i Caregiver familiari la cui normazione resta ancora tutta da delineare a seguito del riconoscimento operato con legge 205/2017 (art. 1 comma 255), tutte corti che sono rilevabili da INPS, INAIL, MLPS, restano inopinatamente vaghe e con esse i costi per le PA e i Concessionari obbligati.
Non sorprende quindi che nella Relazione Tecnica accompagnatoria allo schema di decreto il Ragioniere Generale dello Stato formuli un parere positivo non rilevando nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Ma così non è.
Eppure, a titolo esemplificativo delle notazioni al testo che mi accingo a fare, proprio all’articolo 1, comma 2 si cela una definizione di “accessibilità” riferita a diversi contesti che non può essere considerata ad impatto zero sulle singole PA.
A mio avviso, nel riformulare il comma basterebbe richiamare, oltre ai principi di accessibilità universale intesa non solo come abbattimento delle barriere architettoniche, quanto definito dalle Linee Guida di AGID in materia di accessibilità digitale, in osservanza alla Legge 4/04.
Si dovrebbe dunque chiarire la portata del comma 2 dell’articolo 1 al fine di garantire una possibile forma di neutralità finanziaria per gli Enti pubblici là dove, fatte le condivisibili premesse su cosa sia l’accessibilità in termini di accesso e fruibilità nel rispetto del dettato della Convenzione Onu, vi si comprendono anche “i servizi elettronici e di emergenza, dell’informazione e della comunicazione, ivi inclusi i sistemi informatici e le tecnologie dell’informazione in carattere Braille e in formati facilmente leggibili e comprensibili”. Va da sé che la portata di una tale norma – così congegnata – non può essere a costo zero. Sorprende poi la puntualizzazione relativa al Braille, e non di altri sistemi di codifica/decodifica del linguaggio, elemento questo che – per assurdo ma non poi così tanto per assurdo (!) potrebbe indurre il puntiglioso Cittadino privo di vista a richiedere – e giustamente se non ottiene risposta alla sua istanza, adire le vie legali secondo l’ampliamento determinato dall’articolo 8 – che, ad esempio, l’intera Biblioteca Nazionale sia tradotta in Braille – pensate che per ogni pagina di testo ne occorrono 3,10 in Braille le quali in ogni caso occupano anche un volume maggiore in termini di spessore della carta utilizzata per la stampa – o peggio che ciascuna delle oltre 9700 amministrazioni pubbliche codifichi in Braille tutto il proprio patrimonio informativo (pensate solo al Ministero dei Beni culturali….) o peggio che le citate Amministrazioni provvedano a traslare in Braille, tutti i sistemi informatici e le tecnologie di informazione (pensate ai sistemi della sicurezza nazionale, del soccorso, delle Forze Armate e dei Corpi ad Ordinamento Militare). Allora perché non inserire dopo la parola Braille nel testo del decreto anche codice come la LIS Tattile, il Codice Malossi per le persone sordocieche o la comunicazione aumentativa alternativa e per l’Autismo o la Comunicazione Aumentativa per simboli o ancora la comunicazione nelle forme previste dal progetto “Easy to read“ di ANFFAS, per citarne alcune. Eppure, e non sarà sfuggito a chi ha redatto lo schema di decreto, il Codice Braille è fortemente diffuso nella popolazione dei ciechi congeniti o divenuti tali in età prescolare ma non nella popolazione di persone cieche divenute tali in età adulta, che sovrastano di gran lunga la prima corte qui richiamata. Certamente non tutti i non vedenti totali o parziali d’Italia sono iscritti all’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ma questa, secondo il bilancio dello scorso anno, ha circa 36mila soci. Occorre a mio avviso guardare al complesso della popolazione di persone con disabilità e non solo ad una parte di esse come sembra tuttavia fare la norma in parola attraverso l’uso del termine Braille. Ad avviso del sottoscritto, si suggerisce di valutare una appropriata riformulazione dell’intero comma 2 in termini più generali ed inclusivi delle diverse condizioni di disabilità fisica, senso percettiva e intellettiva, attraverso una attenta revisione lessicale che dia conto della più vasta platea delle limitazioni funzionali, causa di disabilità.
Passo rapidamente ai principali punti di punti di possibile criticità, articolo per articolo.
Dell’articolo 1 abbiamo già detto. Tuttavia, in generale, si potrebbe avere l’impressione che se da un lato il principio ispiratore della norma in esame sia corretto sotto il profilo dell’affermazione dei diritti delle persone con disabilità, dall’altro sembra che con questo schema di decreto lo Stato operi una traslazione, a costo zero per il proprio bilancio, degli oneri di attuazione di principi e azioni, ancora non del tutto realizzati e il cui obbligo discende dalla Convenzione ONU sopra richiamata, verso gli Enti della PA, i quali così assumono su di essi oneri e responsabilità, dove l’eventuale impossibilità di adottare adeguamenti ed accorgimenti atti a realizzare i diritti sottesi dalla norma in esame, in favore delle persone con disabilità, per indisponibilità di risorse, li vedrebbe in caso di contenzioso soccombenti, e dunque vi sarebbe un aggravio di oneri dovuti e responsabilità civili. Ciò tenendo a mente la
Sentenza della Corte Costituzionale 275/2016 che sancisce come “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.
Dunque, una condanna certa per tutte quelle PA ed Enti Concessionari che non daranno piena, totale ed immediata accessibilità fisica e digitale ai cittadini con disabilità e alle persone ultrasessantacinquenni.
Art. 2 – In ordine alla definizione generica delle PA di cui all’art. 1 comma 2 del 165/01 appare singolare poi come il decreto, indirizzandosi alla pluralità degli Enti, li pone tutti sullo stesso piano non operando distinzioni o deroghe, tra Enti di grandi dimensioni (se non all’art. 3 comma 1, capoverso “2-ter” – quelli sotto i 50 dipendenti – ma solo ai fini delle forme di gestione associata, anch’essa per certi aspetti discutibile se si pensa che le figure introdotte all’art. 3 trattano di diritti fondamentali delle persone e non di mere pratiche amministrative che possono richiedere anche la discontinuità del servizio in loco), enti piccoli e piccolissimi, enti a carattere riservato che operano nei servizi per la Sicurezza Nazionale, per la difesa o per il soccorso. Ed ancora, non opera distinzioni tra Comuni grandi e piccoli, non distingue gli enti per tipologia, caratteristiche dei servizi offerti alla comunità nazionale o di riferimento territoriale, non opera differenziazioni attuative tra enti che prevedono l’accesso del pubblico e quelli che non lo prevedono, salvo i propri dipendenti, non prevede differenziazioni anche in ragione delle peculiarità delle sedi che li ospitano, non distingue tra enti che si riferiscono ad una pluralità di cittadini ed enti che si riferiscono specifiche utenze, come lo possono essere le Università e le Istituzioni AFAM che già prevedono il delegato del Rettore o del Direttore, per le disabilità (Art, 16, c. 5-bis Legge 104/92) che si occupa di precise aree della didattica e che si pone in stretta relazione con gli Uffici per le disabilità e DSA degli Atenei o delle Istituzioni AFAM , la cui utenza, censita nel 2022 supera le 54mila unità di studenti con disabilità o DSA, su base nazionale, con il rischio di pericolose sovrapposizioni di funzioni. Non distingue il decreto in parola, tra istituzioni pubbliche e private che assolvono la medesima funzione finalizzata all’assolvimento di un qualsivoglia diritto Costituzionale del Cittadino.
Con riferimento al comma 2 del medesimo articolo sarebbe inoltre opportuna una attenta valutazione da parte del Governo, al fine di evitare ogni possibile forma di differenziazione da parte delle Istituzioni chiamate all’adeguamento dei propri ordinamenti, in conformità alla disciplina recata dal dlgs in esame, anche disponendo linee guida di omogenea attuazione.
Articolo 3 – In linea generale – sempre ad avviso di chi scrive – appare indispensabile definire meglio, non solo gli ambiti operativi della figura dirigenziale introdotta, ma anche le sue responsabilità, affinché queste non si sovrappongano ad esempio al RSPP in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (lo stesso dicasi per quanto concerne la figura di cui all’art. 6) ma prioritariamente occorrerebbe delineare i requisiti di adeguata professionalità, avvalorati da una specifica formazione e da una comprovata esperienza nei settori definiti dalla delega che sono opportunamente limitati alla piena accessibilità fisica e digitale sotto il profilo della definizione del PIAO. Al riguardo si precisa come in ambito accademico una formazione specificatamente orientata ai temi della piena accessibilità fisica e digitale non sembra sia ancora stata strutturata, sebbene inizino ad essere proposte sul mercato iniziative, del tutto sporadiche ed estemporanee, di formazione anche post laurea in materia. Ad avviso di chi parla, aderendo in linea di massima alle puntuali osservazioni proposte dalla Conferenza Stato Regioni, andrebbe espunto dal testo dello schema in parola, tutto ciò che possa riferirsi all’inclusione sociale in quanto tale ambito – in vero vastissimo – non appare di specifica pertinenza del “preposto” per come peraltro viene definito nella norma di delega. Inoltre la stessa norma di delega prevede “che presso ciascuna amministrazione possa essere individuata una figura dirigenziale preposta alla programmazione strategica della piena accessibilità, fisica e digitale” dunque si fissa un principio di delega non perentorio, mentre nella norma dello schema di decreto detto principio si traduce nel senso che le PA “individuano” un dirigente amministrativo, quindi un termine obbligatorio dell’azione, che eccede il criterio di delega fissato dal Parlamento e dunque foriero di oneri non quantificati, allargando inoltre il perimetro ad altro personale equiparato, non previsto dalla norma di delega che appare invece perentoria sulla sola qualifica dirigenziale. Allo stesso modo, sebbene sia comprensibile sotto il profilo dell’ottimizzazione e dell’economicità dell’azione amministrativa, si valuti l’impatto in termini di carico di lavoro e dei processi organizzativi e operativi, anche in relazione alla dimensione dell’Ente e della tipologia di utenza e servizi erogati, che recano le funzioni sopra delineate ove assunte in aggiunta alle proprie, dal responsabile di cui all’art. 39-ter del dlgs 165/01.
In merito al comma 2-ter si veda sopra, ma in linea generale le forme di gestione associata, che potrebbero incidere sui diritti delle persone che sono, in questo caso, ad esigibilità immediata, potrebbero non essere le più appropriate là dove non prevedano un presidio continuativo ma dilazionato nel tempo in ragione del numero degli enti associati, della loro natura e dimensione e collocazione territoriale.
Articolo 4 – Questo articolo, sempre a mio avviso, presenta profili di rischio elevati che impattano direttamente sui soggetti di cui all’articolo 3 e 6, e in via generale , su tutto il personale chiamato a cooperare con il dirigente che assume la veste di preposto per la piena accessibilità fisica o digitale o di responsabile del processo di inserimento delle persone con disabilità nell’ambiente di lavoro. Infatti appare singolare che – nelle note condizioni in cui versano le PA, ad esempio per i profili di accessibilità e abbattimento delle barriere architettoniche, o per i profili connessi agli obblighi derivanti dall’attuazione della legge 68/99, nella valutazione della performance individuale si tenga conto del raggiungimento o meno di obiettivi, i cui profili di realizzabilità sono condizionati da molteplici variabili esterne, che rischiano di incidere negativamente anche ai fini dell’applicazione delle norme inerenti il licenziamento disciplinare (ad esempio per le barriere architettoniche dai vincoli ambientali e paesaggistici o relativi ai beni architettonici oggetto di tutela – si pensi ad esempio alla sede del Senato della Repubblica che appare pienamente inaccessibile per talune disabilità – ad esempio è totalmente priva di percorsi tattilo plantari per non vedenti!). Ma vi è di più nell’ambito dell’articolo in parola si parla di assicurare l’effettiva inclusione sociale, senza definirne i criteri e la portata in correlazione alla tipologia dell’Ente Pubblico, alla sua dimensione e ai sevizi erogati, mentre per l’accessibilità delle persone con disabilità si parla di “possibilità”. Certo è lo stesso punto 3 della delega a definire il criterio, ma questo appare assai sbilanciato se la garanzia di una effettiva inclusione sociale non concorda poi con la garanzia di un effettivo accesso che resta invece relegato nell’ambito delle mere possibilità. Sarebbe opportuno procedere al bilanciamento della norma contenuta nella legge di delegazione.
Articolo 5 – l’articolo – sempre ad avviso di chi scrive – appare critico, là dove l’introduzione dell’OIV per la definizione della partecipazione degli stakeholder ai processi ivi delineati , sentito il dirigente di cui all’articolo 3, rimette alla più completa discrezionalità di ciascun Ente l’esercizio di un diritto che discende direttamente dall’articolo 4 comma 3 della Convenzione ONU in materia di ascolto dei rappresentanti delle persone con disabilità, e quindi non è comprimibile. Premesso che in tal caso sarebbe quindi auspicabile l’emanazione da parte del Ministro per la Pubblica Amministrazione di concerto con i Ministri interessati di un provvedimento a carattere regolamentare che detti norme alle PA e agli Enti obbligati, in materia di criteri omogeni per l’ascolto degli stakeholder, appare indispensabile precisare i criteri di maggiore rappresentatività degli stessi che allo stato non sembra esistano in forma codificata e condivisa, lasciando in tal modo alla più completa discrezionalità la quantificazione del termine “maggiormente rappresentativo” che, come noto è proprio delle organizzazioni a carattere sindacale la cui rappresentatività è provata dal numero delle deleghe attivate per la riscossione dei contributi dei lavoratori, o da atti amministrativi per quelle Associazioni che devono essere riconosciute per Legge dal datore di Lavoro. Infatti in ragione della variegata e complessa eterogeneità delle disabilità e delle patologie invalidanti, anche rare, sarebbe più opportuno parlare di “associazioni comparativamente più rappresentative” o rappresentative di patologie rare e prevedere il requisito della diffusione territoriale per numero di sedi operative attive nelle provincie e di pratiche svolte per l’assistenza agli associati, oltre al numero generale di associati per categoria di appartenenza o per deleghe conferite attraverso, ad esempio, il modello AP70 di INPS, e purchè tali associazioni siano iscritte al Registro di cui all’art. 45 del dlgs 117/2017.
A valle di ciò non appare tuttavia opportuno – a mio avviso – o meglio andrebbe meglio definito l’ambito di incisività del termine “partecipano” e del termine “formazione”, elementi questi che, considerato l’altissimo numero di enti e associazioni del terzo settore, rischiano di trasformare una auspicabile dialettica costruttiva in un ingessamento dei processi amministrativi di formazione del PIAO , ponendo nelle mani di soggetti sostanzialmente privati le sorti della definizione degli obiettivi strategici delle PA. Nulla da ridire sul comma 2 salvo le medesime precisazioni in ordine alla differente regolamentazione dell’accesso delle Associazioni e degli enti del terzo settore.
Articolo 6 – in merito si segnala come per omogeneità ci si dovrebbe orientare anche per il comma 1-bis verso una figura dirigenziale, ove imprescindibile resta la comprovata formazione specifica e, in subordine, l’esperienza maturata, anche essa dimostrabile, nei temi oggetto del decreto.
Articolo 7 e 8 – qui si propone una sola riflessione, ci si chiede infatti perchè l’estensore dello schema di decreto non abbia sottoposto a consultazione pubblica le norme recate dai due articoli, presso gli obbligati. Infatti, nella relazione AIR, si precisa che non sono state svolte consultazioni. Tuttavia, la norma appare foriera di profili di rischio per contenzioso, elevatissimi. A mio parere, dette norme non sono scevre dal produrre un impatto per taluni profili di concorrenza nel mercato. Si pensi ad esempio all’impatto sulla RAI, concessionaria del servizio pubblico , che si potrebbe veder investita di numerose cause di utenti che lamentano la non accessibilità di taluni programmi , mentre le reti private non dovendo ottemperare ad alcun obbligo di cui al presente decreto, né trarrebbero indubbio vantaggio quanto meno in termini di costi non obbligati, o ancora le società del TPL che potrebbero sempre essere oggetto di contenzioso là dove non garantiscano la piena accessibilità dei servizi dei trasporti. E così via.
Articolo 9 – Sui profili finanziari abbiamo già detto. Tuttavia, non possiamo non notare come le norme recate dal provvedimento non siano del tutto esenti dal generare nuovi oneri non quantificati per le PA. Il rischio è che a risorse zero vi sia una offerta di servizi e adeguamenti atti a garantire i diritti delle persone con disabilità, pari a zero.
Ad avviso di chi vi parla, ciò rappresenterebbe un inevitabile rischio di fallimento delle politiche del Governo in favore delle persone con disabilità, che andrebbe, per il bene del Paese, evitato, e per evitare ulteriori richiami da parte del Comitato delle Nazioni Unite in merito alla mancata attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità che il nostro Paese ha sottoscritto.
Articolo – 10, vista la complessità del provvedimento, che necessita a mio avviso di una ulteriore ed opportuna verifica sotto i profili finanziari e dei tempi di attuazione posto che questa non appare né immediata né tanto meno ad impatto zero sui bilanci delle singole PA, a fronte invece dell’immediata esigibilità del diritto costituzionalmente preminente da parte delle persone con disabilità, si valuti di prevedere un rinvio attuativo per dare quindi un congruo termine alle PA per adeguarsi, anche con una applicazione progressiva, rafforzata da una contestuale verifica di attuazione da parte di un organismo di valutazione indipendente e terzo rispetto alle PA, ma dotato di poteri sanzionatori, figura questa che non può coincidere con l’istituendo Garante per le persone con disabilità che, come noto, è privo di poteri effettivi.
In linea generale il provvedimento andrebbe meglio coordinato anche con tutti quei soggetti istituzionali già esistenti e non sopprimibili, anche a carattere consultivo obbligatorio, istituiti con Legge o dalle Regioni, e che provvedono ad erogare servizi e garantire l’effettività del diritto delle persone con disabilità. Copia della presente relazione viene depositata agli atti delle Commissioni e si resta a disposizione per ogni ulteriore chiarimento. Grazie.
Francesco Alberto Comellini
2 commenti su “Audizione di Francesco Alberto Comellini sullo schema di decreto legislativo in esame presso le commissioni riunite 1 e 10 del Senato – Roma 19.9.2023 (VIDEO)”
Grandeee
bravo!