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Catania, 21 febbraio 2025
Dal Braille alla Scuola di Metodo: innovazione tecnologica, formazione superiore e progressione di carriera per l’inclusione delle persone con disabilità visiva
Magnifico Rettore, Autorità accademiche e istituzionali, Studentesse e Studenti – futuro del nostro Paese – Relatori che mi hanno preceduto, Relatori che interverranno dopo di me, Signore e Signori,
È con grande piacere che intervengo oggi in questa prestigiosa occasione, che celebra due pilastri fondamentali dell’inclusione delle persone con disabilità visiva: i 200 anni del sistema Braille e i 100 anni della scuola di metodo.
Questi anniversari non rappresentano soltanto un omaggio al passato, ma ci offrono un’opportunità per riflettere su come garantire pari opportunità e una reale inclusione delle persone cieche e ipovedenti in tutte le fasi della loro vita: dalla scuola, all’università, fino all’inserimento nel mondo del lavoro e alla formazione permanente.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, sancisce il diritto delle persone con disabilità a una piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. In particolare, l’articolo 27 della Convenzione riconosce il diritto delle persone con disabilità al lavoro su base di uguaglianza con gli altri, sottolineando l’importanza della progressione di carriera e dell’avanzamento professionale. Questo principio impone agli Stati membri l’obbligo di adottare misure efficaci per garantire che le persone con disabilità possano non solo accedere al lavoro, ma anche avanzare nelle loro carriere e sviluppare appieno il proprio potenziale.
Questo principio trova riscontro nella normativa nazionale con la Legge 68/1999, che ha introdotto il concetto di collocamento mirato per facilitare l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Tuttavia, la legge, sebbene fondamentale, si concentra prevalentemente sull’accesso al lavoro, lasciando spazi di miglioramento per quanto riguarda la progressione di carriera. Al contrario, l’introduzione dell’art. 35-quater del D.Lgs. 165/2001, novellato dal Decreto-Legge 30 aprile 2022, n. 36, rappresenta un’evoluzione significativa in quanto introduce il concetto di abilità residue e obbliga le amministrazioni pubbliche a considerare tali abilità nella selezione e nella gestione del personale. Questo crea nuove opportunità per le persone con disabilità visiva di partecipare a procedure assunzionali ordinarie nel pubblico impiego, superando il tradizionale approccio assistenzialistico.
Dal punto di vista giurisprudenziale, la valorizzazione delle abilità residue rappresenta un importante strumento di inclusione attiva.
Una sentenza significativa, che sottolinea l’importanza della valorizzazione delle abilità residue come strumento di inclusione attiva, è la recente sentenza n. 605 del 10 gennaio 2025 della Corte di cassazione. In questo pronunciamento, la Corte ha riconosciuto lo smart working come un “accomodamento ragionevole” per i lavoratori con disabilità, obbligando il datore di lavoro a concedere tale modalità lavorativa quando compatibile con le esigenze organizzative. Questo approccio mira a valorizzare le capacità residue dei lavoratori con disabilità, promuovendo la loro inclusione attiva nel contesto lavorativo. Altre recenti sentenze dei tribunali amministrativi hanno confermato il principio secondo cui le amministrazioni devono non solo garantire l’accesso al lavoro tramite le quote di riserva, ma anche promuovere percorsi di carriera che valorizzino le competenze specifiche delle persone con disabilità. Questo significa che, oltre al collocamento mirato previsto dalla Legge 68/1999, le persone cieche e ipovedenti possono accedere a posizioni di maggiore responsabilità attraverso concorsi pubblici, a condizione che siano messe in atto misure adeguate di supporto e adattamento. Nel quadro dei principi di equità e valorizzazione delle competenze individuali, l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità o condizioni di fragilità deve essere garantita attraverso un approccio metodologico che superi la tradizionale concezione adattiva del lavoratore rispetto alle esigenze dell’organizzazione. È necessario promuovere modelli organizzativi flessibili e processi di job crafting, affinché sia l’organizzazione datoriale a riorientare e strutturare le mansioni in funzione delle caratteristiche e delle capacità del lavoratore, valorizzandone il contributo in un’ottica di effettiva partecipazione e produttività. Questo approccio, in linea con i principi di personalizzazione e accomodamento ragionevole, consente di trasformare l’ambiente di lavoro in un sistema dinamico e inclusivo, nel quale la progettazione delle attività non è rigidamente predefinita, ma si evolve per massimizzare l’apporto professionale di ciascun individuo, nel rispetto del principio di pari opportunità e di non discriminazione. Il sistema formativo, dalla scuola all’università, gioca un ruolo cruciale in questo percorso. La Legge 104/1992 ha garantito il diritto all’inclusione scolastica delle persone con disabilità, mentre la Legge 17/1999 ha rafforzato queste misure per l’istruzione superiore. Tuttavia, solo recentemente si è assistito a un ulteriore passo avanti con l’introduzione della figura del delegato del direttore per la disabilità nelle istituzioni dell’AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica), colmando un gap significativo rispetto alle università. Questa figura, introdotta dal Decreto-Legge 22 aprile 2023, n. 44, assicura un coordinamento efficace delle politiche di inclusione e supporto per gli studenti con disabilità.
Inoltre, è fondamentale richiamare la Legge Delega sulla Disabilità (Legge 227/2021) e il successivo D.Lgs. 222/2023, che hanno introdotto innovazioni significative per il miglioramento della piena accessibilità fisica e digitale nelle pubbliche amministrazioni e dunque nelle istituzioni educative, inclusi gli atenei e le istituzioni AFAM. In particolare, gli articoli 3, 4 e 6 del D.Lgs. 222/2023 sanciscono l’obbligo per le amministrazioni pubbliche e per gli enti di istruzione superiore di garantire l’accessibilità universale non solo ai cittadini utenti dei servizi, ma anche agli studenti e ai lavoratori con disabilità visiva.
Questo quadro normativo rafforza il ruolo del Responsabile del processo di inserimento delle persone con disabilità, assicurando un supporto strutturale e continuativo all’inclusione scolastica, accademica e lavorativa.
L’importanza della formazione AFAM nell’inclusione delle persone non vedenti nei settori artistici è fondamentale, offrendo opportunità uniche per esprimere talenti e competenze in ambiti tradizionalmente meno accessibili. Le istituzioni AFAM hanno dimostrato come la musica, l’arte e la danza possano diventare strumenti potenti di inclusione sociale e professionale. Esempi di eccellenza includono il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, che ha sviluppato programmi specifici per studenti non vedenti, e l’Accademia di Belle Arti di Roma, che ha implementato tecnologie assistive avanzate per consentire la partecipazione attiva di studenti ipovedenti in discipline come la scultura e la pittura.
Anche le università italiane hanno intrapreso iniziative significative in questo ambito. L’Università di Bologna, ad esempio, ha avviato il progetto In-VisIBLe (Inclusive and Innovative learning tool for Visually Impaired and Blind people), che mira a rendere i corsi universitari più accessibili agli studenti con disabilità visiva attraverso l’uso di modelli tattili tridimensionali e sistemi di intelligenza artificiale per la descrizione sonora delle immagini. Anche l’Università di Catania, tramite il CInAP, offre supporto agli studenti ciechi con tutorato didattico, orientamento, counseling, trasporto e collocamento mirato. Questi casi dimostrano come la valorizzazione delle competenze artistiche e accademiche delle persone con disabilità visiva non solo arricchisca il panorama culturale e scientifico, ma contribuisca anche a creare modelli inclusivi di successo a livello internazionale.
Il rapporto ANVUR sulla disabilità, recentemente esteso anche alle istituzioni AFAM, evidenzia come la presenza di figure dedicate e di servizi specifici abbia un impatto positivo sull’inclusione e sulla performance accademica degli studenti con disabilità. Questo ampliamento della prima rilevazione effettuata, rappresenta un passo importante verso una visione più completa e integrata del sistema della formazione superiore, contribuendo a colmare il gap informativo e promuovendo pratiche inclusive su larga scala. I risultati attesi dalla nuova ricerca potrebbero influenzare significativamente i processi di analisi e valutazione delle misure di orientamento, specialmente nelle fasi di transizione degli studenti da un ciclo di studi a quello superiore. Ciò consentirebbe di sviluppare interventi più mirati e personalizzati, facilitando l’integrazione scolastica e il successo accademico, e ponendo le basi per una progressione più fluida verso il mondo del lavoro.
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) gioca un ruolo chiave nella formazione dei dirigenti pubblici, sensibilizzandoli sull’importanza della valorizzazione delle abilità residue e sull’adozione di pratiche inclusive nei processi di selezione e gestione del personale. Analogamente, il Centro per l’Impiego deve svolgere un’attività proattiva di orientamento e supporto alle persone con disabilità visiva, facilitando il loro accesso non solo alle opportunità lavorative, ma anche ai percorsi di crescita professionale.
Nonostante i progressi normativi, il contesto occupazionale delle persone cieche o ipovedenti, presenta ancora numerose criticità. I dati dell’XI Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” evidenziano che il tasso di disoccupazione tra le persone cieche e ipovedenti è significativamente più alto rispetto alla media nazionale. Le iscrizioni agli elenchi specifici per il collocamento obbligatorio delle persone non vedenti sono rimaste sostanzialmente stabili, con 111 iscrizioni nel 2020 e 112 nel 2021, confermando una tendenza costante nel tempo. Tuttavia, gli avviamenti al lavoro risultano ancora limitati. In particolare, nel settore dei centralinisti telefonici non vedenti, si registra un lieve incremento nel numero di avviamenti: da 12 nel 2020 a 16 nel 2021. Il settore pubblico ha assorbito la maggior parte di questi avviamenti, con un incremento da 57 a 88 unità nello stesso periodo. Le assunzioni hanno seguito un andamento simile, passando da 62 nel 2020 a 94 nel 2021, con una prevalenza di contratti a tempo indeterminato. Oltre ai centralinisti telefonici, altre figure professionali sono regolamentate da normative speciali per l’inserimento lavorativo delle persone non vedenti. Tra queste, i massofisioterapisti e terapisti della riabilitazione, che rappresentano rispettivamente il 5,3% e l’1,6% degli iscritti agli elenchi specifici. Il quadro complessivo del collocamento delle persone non vedenti mostra un incremento degli avviamenti e delle assunzioni nel 2021 rispetto all’anno precedente, ma il numero complessivo di lavoratori coinvolti rimane esiguo rispetto al totale delle persone con disabilità iscritte al collocamento obbligatorio. A ciò si aggiunge una persistente scopertura dei posti di riserva, che nel 2021 si attestava al 32% nel settore pubblico e al 29% nel settore privato, con punte che superano il 40% nelle piccole imprese. Questi dati confermano la necessità di interventi più incisivi per colmare il divario tra il fabbisogno occupazionale e le effettive opportunità lavorative disponibili. L’impatto della pandemia da COVID-19 e dei conseguenti lockdown ha aggravato questa situazione, esacerbando le barriere già esistenti per l’accesso al lavoro delle persone con disabilità. Secondo studi condotti da INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) e ISTAT, la crisi sanitaria ha determinato una riduzione significativa delle opportunità di lavoro per le persone con disabilità, sia nel settore pubblico che privato. La mancanza di adeguamenti tecnologici e di flessibilità nelle modalità lavorative ha colpito in modo particolare le persone cieche e ipovedenti, che hanno riscontrato maggiori difficoltà nell’adattarsi a nuovi ambienti di lavoro digitalizzati, spesso non pienamente accessibili. Tali difficoltà hanno evidenziato la necessità di implementare misure più efficaci di supporto tecnologico e formazione continua, in linea con la valorizzazione delle abilità residue e l’importanza dei percorsi di formazione permanente già trattati. Queste politiche non solo favorirebbero l’accesso al lavoro, ma garantirebbero anche la permanenza e la progressione di carriera nel mercato del lavoro, rispondendo così in modo efficace alle criticità emerse durante la pandemia.
Il dato sulla scolarità delle persone con disabilità, riportato nell’XI Relazione al Parlamento, evidenzia che nel 2021 il 50% delle persone con disabilità non supera la licenza media, confermando un livello medio-basso di istruzione.
Per quanto riguarda le persone cieche, il rapporto conferma un’analoga tendenza, con una percentuale significativa di iscritti al collocamento mirato che possiede solo un titolo di studio di livello inferiore alla scuola secondaria di secondo grado. Questo dato sottolinea la necessità di rafforzare le politiche di istruzione e formazione continua per aumentare le opportunità lavorative di questa categoria.
Le persone cieche si trovano spesso a dover affrontare barriere culturali e pregiudizi che limitano le loro opportunità di carriera. Nonostante le competenze acquisite, molte persone con disabilità visiva vengono ancora indirizzate verso ruoli marginali o poco qualificati, senza un adeguato riconoscimento delle loro capacità professionali. Alla luce del rapido progresso tecnologico e delle innovazioni nei campi delle tecnologie assistive e dell’intelligenza artificiale, emerge la necessità di un adeguamento delle normative occupazionali dedicate ai non vedenti. Questo adeguamento dovrebbe prevedere l’integrazione di strumenti tecnologici avanzati nei processi di selezione e formazione, favorendo una valutazione delle competenze basata sulle abilità residue e sull’effettiva capacità di adattamento alle nuove tecnologie. Tale revisione normativa risponderebbe non solo ai principi sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ma anche alle esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione, garantendo pari opportunità e valorizzazione delle competenze professionali delle persone con disabilità visiva.
È fondamentale sottolineare il ruolo delle politiche di formazione continua e di riqualificazione professionale, che devono essere accessibili e mirate a garantire la competitività delle persone con disabilità visiva nel mercato del lavoro. La formazione permanente è una leva essenziale per adattarsi ai cambiamenti tecnologici e alle esigenze del mercato, e deve essere integrata da programmi di mentorship e coaching professionale per favorire lo sviluppo di competenze trasversali.
Un aspetto cruciale è la collaborazione tra istituzioni educative e imprese, che deve essere rafforzata attraverso la creazione di reti di supporto e partnership strategiche. Le università e le aziende possono lavorare insieme per sviluppare programmi di tirocinio inclusivi, favorire l’accesso a opportunità di carriera e promuovere una cultura del lavoro che valorizzi la diversità.
Le tecnologie assistive e l’intelligenza artificiale possono giocare un ruolo determinante in questo contesto. L’IA può essere utilizzata per creare ambienti di apprendimento personalizzati, facilitare la comunicazione e l’accesso alle informazioni, e migliorare l’efficienza dei processi lavorativi. Tuttavia, è essenziale che queste tecnologie siano progettate con criteri di accessibilità universale e integrate in modo etico e responsabile, per evitare che diventino nuove barriere all’inclusione.
Oltre all’inserimento lavorativo, è essenziale considerare anche il tema della formazione permanente. La disabilità visiva non deve rappresentare un limite all’apprendimento continuo e allo sviluppo professionale. Le politiche pubbliche devono garantire che le persone con disabilità abbiano accesso a programmi di aggiornamento professionale e corsi di formazione continua, che consentano loro di rimanere competitive nel mercato del lavoro e di crescere professionalmente nel corso della vita.
In conclusione, il percorso verso un’inclusione reale e duratura delle persone con disabilità visiva deve essere concepito come un processo continuo e integrato, che accompagni la persona dalla scuola all’università, fino all’inserimento lavorativo e alla formazione permanente. L’inclusione non si esaurisce con l’accesso al lavoro: deve proseguire attraverso opportunità di aggiornamento professionale e crescita continua, in un contesto che valorizzi le competenze e promuova l’autonomia. Le tecnologie avanzate e l’intelligenza artificiale rappresentano strumenti potenti per abbattere le barriere e creare opportunità, ma il loro valore dipende dalla capacità delle istituzioni e della società di governarne l’uso in modo etico e inclusivo. Le normative vigenti ci forniscono gli strumenti per costruire una società più equa e inclusiva. Tuttavia, spetta a noi, come comunità e istituzioni, tradurre questi strumenti in pratiche concrete che promuovano non solo l’inclusione formale, ma anche la realizzazione personale e professionale delle persone con disabilità visiva, in ogni fase della loro vita.
Vi ringrazio per l’attenzione.
Francesco Alberto Comellini
Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Permanete sulla Disabilità – OSPERDI